30 agosto 2011

Boulevard

(Premere play e leggere velocissimo, ché la canzone è breve, il post è breve e non sto a dirvi della vita)


Si erano inseguiti per anni.

- Un mese ai tre lustri - quantificò lui con una rapidità che tradiva la sua consuetudine con quel particolare calcolo, investendo nell'uso di una misura temporale da ginnasio un buon 90% del suo patrimonio di seduzione. Nella sfacciata luce zenitale di un atipico mezzogiorno decembrino, soppesò prima mentalmente e poi, poco convinto del risultato, sui due palmi ormai sudati nascosti nelle tasche di un cappotto blu di lana che stonava più con il suo golf giallo pallido che con la temperatura mite, l'opzione di approssimare l'accuratezza dell'affermazione appena fatta con qualche frase di rito - anno più, anno meno - che non desse di lui l'idea di un maniaco ossessivo intento a incidere una tacca sul muro dietro il suo letto per ogni giorno trascorso prima del loro incontro (mano destra, scontrini risalenti all'inverno precedente e mai gettati) e quella (mano sinistra, spiccioli di resto dopo la colazione al bar dell'aeroporto) di buttare lì qualche generica banalità sul riscaldamento globale e le sue devastanti ripercussioni sulla vita quotidiana - quali la malvagia sottrazione del diritto naturale al godimento di un natale gelido e innevato in cui una qualunque conversazione per strada fra due persone qualunque che decidessero di rivedersi, dopo un arco di tempo non meglio specificato, potesse fregiarsi della coreografica partecipazione di soffici nuvole di vapore condensato ad accompagnare ogni parola pronunciata - nella speranza che le sfuggisse quanto la avesse aspettata.

Fu la vista di un uomo sulla cinquantina, professionalmente custodito da un gessato a righe fitte e una capigliatura compatta e cromata, con i muscoli del triangolo anteriore del collo contratti nello sforzo di impedire alla mandibola di spalancarsi in uno sbadiglio vertiginoso mentre un'adolescente che doveva essere sua figlia si prodigava in una spiegazione atomica della necessità di affiancare la borsa che stavano vedendo in vetrina alle decolleté nere appena acquistate, fu quella vista, per l'appunto, a evidenziare la drammatica incompletezza del ventaglio di possibili reazioni che aveva considerato: l'avrebbe annoiata; non spaventata, o distratta in attesa che la chiacchierata prendesse quota, ma spinta a trovare un pretesto, qualunque pretesto, meglio se incredibile, per districarsi dai tentacoli soporiferi della sua presenza. La bilancia sinaptica si affrettò ad avvalorare appieno quest'ultima previsione, ed era solo colpa di un percorso evolutivo miope (completamente cieco, a detta di alcuni) e avaro (profondamente innamorato della simmetria bilaterale, secondo gli stessi alcuni) se non poteva disporre di un altro braccio con cui procedere a una triplice pesata che fornisse una conferma empirica alla sua teoria.

- Beh, anno più, anno meno - disse lei con un tono divertito, quasi complice, e continuando a camminare, gli tirò fuori la mano dalla tasca e la strinse nella propria. Poi aggiunse qualcosa sulla natura zenoniana del loro rapporto, sempre uno davanti all'altro senza mai riuscire a raggiungersi, come Achille e la tartaruga. Le strappò un altro sorriso ammettendo la sconfitta nella gara di riferimenti classici e chiedendole chi dei due fosse Achille.

Risalirono così per la strada, un'isola di quiete nel pulviscolo impazzito di gambe frenetiche e pacchi da regalo finché, circa un'ora più tardi, giunsero sotto casa di lei, con lui pronto a dar fondo all'ultimo 10% del suo capitale di fascino:
- Ceniamo insieme, stasera?''
- Certo - rispose lei con un entusiasmo di gran lunga superiore a quello che si sarebbe aspettato - mi hanno parlato di un posto in cui si mangia molto bene senza spendere troppo. È in Via delle Occasioni Perdute. Perfetto, no?''.

Assentì, alzando e abbassando il capo diverse volte sotto il peso dell'ironia del destino, e prima di congedarsi la baciò a lungo sulle labbra.

All'appuntamento, fissato per le otto, nessuno dei due si presentò.

(Già apparso, un po' di ore fa qui. Fateci un giro, ne vale la pena)

11 aprile 2011

()6

C'è, nella sfacciata e inespugnabile impotenza di fronte al dolore delle persone che amiamo, nell'incapacità di riportare a galla un sorriso - un sorriso rotondo, non confinato entro i margini, carnosi o sottili, di due labbra che si distendono e dischiudono, non smentito dall'opacità dimessa di pupille che sfuggono il contatto visivo - dragando i fondali della sofferenza e del dubbio altrui con un buonumore volenteroso ma spuntato, nell'impossibilità di assumere su di sé il peso del compimento delle scelte, sempre travagliate e imponderabili nelle loro conseguenze, nell'irrealizzabilità del farsi carico almeno di quest'ultime, c'è, in tutto questo, una delle due cifre fondanti dell'essere umani - l'altra essendo il non riuscire a cacare in un cesso diverso dal proprio.

29 luglio 2010

Fare la pace

Altri due soldati italiani morti in Afghanistan. Ora capisco perché ai militari sta sulle palle la pace.

I due militari sono morti per lo scoppio di un ordigno esplosivo improvvisato. Ma dal finale collaudato.

Si parla anche di due afgani morti, ma il comando italiano riporta solo il ferimento lieve di un civile. E comunque loro se lo meritavano.

Il numero di vittime italiane dal'inizio della missione sale così a 29. Nella scala del prestigio internazionale.

(Chissà quanti ne mancano al premier per ricevere la boccia di neve della Casa Bianca)

Alla notizia l'Aula del Senato ha osservato un minuto di silenzio. Rimandati ai prossimi morti i 30 secondi di imbarazzo.

Berlusconi si è detto addolorato e rattristato per la notizia. Per fortuna, in serata ci ha pensato Fini a consolarlo

Per Berlusconi è in queste circostanze drammatiche che ci si chiede se vale la pena essere lì. E poi si sceglie la domanda di riserva.

L'opposizione sceglie il silenzio nel giorno del lutto per evitare di essere strumentalizzata. Fingendo così di avere qualcosa da dire.

26 luglio 2010

Nati ai bordi di periferia


Per andare subito al dunque: The Suburbs degli Arcade Fire è un capolavoro.
No, non starò a spiegarvi perché. Non ne sarei capace, innanzi tutto. E poi, se ascoltando un album del genere non siete in grado di capirlo da soli, allora non c'è niente da fare: il mondo finirà prima del 2012 e il giorno della fine non vi servirà l'inglese (cit) visto che la colonna sonora dell'evento sarà appaltata a Gigi D'Alessio e Marco Carta e Valerio Scanu reduci da una mini gang bang con Lady Gaga in tutti i modi, in tutti i luoghi e in tutti i laghi.

Ma so che nessuno di voi vuole far torto a Roberto Giacobbo rovinandogli il meraviglioso party in costumi Maya che sta preparando e che quindi ascolterete l'album.

Dice: "Ma esce il 2 agosto! Come hai fatto a sentirlo? Non l'avrai mica scaricato?"
Ehi, ma per chi mi avete scambiato? Certo che no. Mi è bastato leggere questo libro, ricavare un buco nero dal collasso dei peperoni, patate e cipolle di mia madre, indossare l'apposita cronotuta in esclusiva carta da rotolone Regina per assorbire l'olio, tuffarmi dentro e ritrovarmi catapultato in un negozio di dischi due settimane nel futuro; acquistare regolarmente il disco da un rivenditore stupito per il mio bizzarro abbigliamento - per non parlare dell'odore, evitare di un soffio l'arresto da parte delle forze dell'ordine chiamate dal rivenditore stesso, e rituffarmi nella peperonata per essere qui a scrivere.

Scherzi a parte, fatevi un favore e ascoltatelo. Un racconto dell'adolescenza e della voglia di fuggire dalla periferia in cui si è cresciuti (con una profondità che il nostro Ramazzotti nazionale potrebbe trovare solo cadendo in un pozzo che si fermi appena un po' prima del centro della Terra) e della necessità di tornarci. Il tutto narrato con un eclettismo e una padronanza musicale straordinaria, uniti a una poesia lucida, a tratti disperata ma con un bagliore di fiducia nel futuro che esplode nel synth-pop radiosamente anni '80 della penultima traccia e in questi versi meravigliosi che chiudono l'album:
If I could have it back, all the time that we wasted, I'd only waste it again


E un assaggio no? Ma certo, golosoni; ecco a voi "We used to wait":



Ora andate e ascoltatelo tutto, figlioli.

16 luglio 2010

no distance left to run




(premere play prima di iniziare a leggere, grazie)

- Prometti di non essere pedante!
- Lo sai che farmi promettere di non comportarmi in un certo modo è la strada più breve per condurmi proprio a quel comport...
- Uff. Lo so, lo so. Pedante rompipalle, almeno provaci.
- ... amento. Spara.
- Ok: immagina di essere un alieno sulla superficie lunare.
- Non ci sono alieni sulla superf...
- Certo che hai proprio un bel modo di provarci.
- ... icie lunare. Non ho mica detto che ci provavo. Ho detto solo "spara".
- ...
- Scusa.
- Allora! Quest'alieno che non dovrebbe esserci ma c'è, dalla superficie della luna vedrebbe la terra così piccola che gli basterebbe tenere i polpastrelli di pollice e indice a pochissimi centimetri per incorniciarla.
- Quindi un improbabile alieno lunare a cui un improbabile percorso evolutivo avrebbe donato un organo prensile inspiegabilmente antropomorfo come una mano, potrebbe stringere la terra tra due dita. Continuo a non vedere il punto.
- Casa mia, casa tua, queste decine di decine di centinaia di chilometri che adesso ci separano, per segnarli l'alieno dovrebbe avvicinare i polpastrelli fino a farli toccare. Insomma, per lui siamo praticamente incollati.
- Incollato lo sono comunque, con 'sto caldo. E poi quest'alieno mi sta sempre più sul cazzo.
- Eddai, chettipiglia?
- D'accordo, te lo dico: il problema di fondo è che siamo una specie che vive a velocità troppo basse per avvertire l'unità di spazio e tempo. O la loro fondamentale inesistenza. Non mi spingerò fino a dire che questo disaccoppiamento è la fonte di ogni infelicità, ma...
- Indovina chi non riesce a vedere il punto, adesso!
- Tutte le tecnologie che dovrebbero avvicinarci, pensaci. Non fanno altro che eludere lo spazio che ci separa rendendo impercettibile il tempo di trasferimento dell'informazione. Agiscono sulla velocità e mortificano la distanza. E invece dovremmo riverirla, la distanza. Questa telefonata, ogni telefonata, è una sorta di inganno sacrilego.
- ...
- Ci sono livelli subcellulari di coscienza che riescono a distinguere tra le increspature di un'onda portante e la differenza di pressione sul timpano generata dall'aria che esce dalla tua bocca. Tra i fotoni emessi da un pixel e quelli riflessi dalla tua pelle. E non sempre si accontentano.
- Capisco. Allora che ne dici di mettere giù e passare ai segnali di fumo? Il tuo dio della distanza sarebbe appagato da questo sacrificio?
- Ironizza, pure. Io pensavo alle lettere. Inchiostrare caratteri su un foglio bianco è un atto la cui irreversibilità manifesta costringe, inconsciamente, all'attenzione.. La necessità di una grafia chiara spinge alla cura. Il rito della scrittura smaschera l'illusione della prossimità.
- Ho paura che quella visita da uno bravo che ti consiglio da tempo non sia più rimandabile.
- Il massimo sarebbe poter recapitare di persona quanto si è scritto. Viaggiare con la lettera stessa. A piedi.
- Ed ecco che le certezze sostituiscono i timori. Perché a volte devi per forza essere così... così!
- Che intendi dire?
- Estraneo. Alieno.
- Perché così posso avvicinare pollice e indice finché i polpastrelli non si toccano e pensare che siamo noi a essere incollati.
- ...
- ...
- ...
- Buonanotte.
- Allora, ti aspetto con la lettera.
- No, vabbè. Ci sentiamo domani.
- A domani, pedante ipocrita.

23 maggio 2010

Le nostre mappe


Quello della crescita è un processo altamente non lineare, catalizzato dagli eventi più disparati: sconfitte o successi, soddisfazioni o delusioni, poco importa. E' difficile assegnare un senso agli eventi - se non a posteriori - e non di rado, mentre cerchiamo di trovarne uno, stendendoli al sole del nostro giudizio, il tempo passa e li rivolta. Linea dopo linea, colore dopo colore, è questo il modo in cui disegniamo la mappa in continua evoluzione che ci consente di interpretare il mondo. C'è chi la chiama maturazione, questa opera continua e minuziosa. Ma pensarla come un disegno la rende meno spaventosa e solenne. Ognuno segue il proprio.
E poi accadono cose che stravolgono le mappe di intere generazioni. Migliaia di mani che tratteggiano le stesse linee, che stendono gli stessi colori. Una visione del mondo, che apparteneva a pochi, esplode in tutta la sua magnificenza, disperdendo frammenti di verità pronti a germogliare.
Quel pomeriggio di diciotto anni fa, ero un quattordicenne intento a osservare sua madre mentre preparava dolci per il giorno successivo, quello del suo quindicesimo compleanno. La festa a venire ha l'odore di quel che sta cuocendo nel forno. Farina dappertutto, sottile e pervasiva, sul tavolo, sul pavimento, sul grembiule e sul viso e tra i capelli di mia madre. La televisione accesa, nella stanza accanto alla cucina, è il quieto rumore di fondo delle mie prese in giro al suo incanutimento, dovuto alla vecchiaia le dico, non alle tracce di farina.
Finché non arriva la sigla dell'edizione straordinaria. Una strada a poco più di 100 km da casa mia è stata sventrata. Polvere dappertutto, sottile e pervasiva, a coprire Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro.
In tanti, quel pomeriggio, imparammo che le nostre mappe del mondo dovevano comprendere le macerie. Ma chi sperava che quelle macerie fossero una tomba non solo per gli uomini ma anche per le loro idee si sbagliò.
Nelle nostre mappe le macerie divennero fondamenta per l'indignazione e la ribellione. Non sepolcro ma memento: qui vivono, per sempre, Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.

3 maggio 2010

()5

Tenetevela voi, la sensibilità. Anche la mia, chenonnnevogliopiùssapere. Voi che nella definizione essere umano prediligete la seconda parte, la identificate con quell'acquitrino mefitico che sono i sentimenti, dove vi divertite a sguazzare e grufolare che quel fango là fa bene alla pelle dell'anima.
Prendetela voi, la mia sensibilità, tanto non ingombra. Sono uno che alla notizia della morte del marito della sua vecchia prof di Italiano è scoppiato a ridere, quanto spazio credete che possa occupare nei vostri cuori così ampi e mai sazi? E ho detto cuori per venirvi incontro, per non sbattervi in faccia la cruda realtà dei fatti, che il cuore è solo una cazzo di pompa e le vostre tanto care passioni nascono e crescono e vivono e muoiono nel cervello, quell'organo freddo e inospitale fatto di materia grigia per alcuni ma per voi, per voi, di materia marrone.
Non dovete nemmeno reclamarla. Ve la cedo aggratis. E quando dico gratis significa che non mi interessa nemmeno la vostra riconoscenza, soprattutto la riconoscenza.
Adottatela voi, che io ho provato ad abbandonarla nei luoghi più impensabili. Bendata. Ed è sempre riuscita a ritrovarmi, come uno stramaledetto cane, e si è messa a guaire dietro le porte dell'imperturbabilità e a grattare gli infissi della serenità facendo capolino con quegli occhioni liquidi e malinconici del cazzo e si è fatta aprire. Ma ora basta. O me o lei. E oggi è uno di quei giorni in cui della definizione essere umano mi tengo la prima parola, quindi lei. Lei. Lei.
Abbracciatela voi, la mia sensibilità. Custoditela e coccolatela come solo voi sapete fare. Oppure umiliatela e maltrattela. Oppure esponetela come l'ennesimo trofeo, fatene l'ennesima tappa nella corsa a infinite tappe del diventare migliori. Oppure inculatela e seviziatela e segregatela. Oppure.
Io me ne sbatterò la minchia.
Lei è sensibile e vi perdonerà.