26 luglio 2010

Nati ai bordi di periferia


Per andare subito al dunque: The Suburbs degli Arcade Fire è un capolavoro.
No, non starò a spiegarvi perché. Non ne sarei capace, innanzi tutto. E poi, se ascoltando un album del genere non siete in grado di capirlo da soli, allora non c'è niente da fare: il mondo finirà prima del 2012 e il giorno della fine non vi servirà l'inglese (cit) visto che la colonna sonora dell'evento sarà appaltata a Gigi D'Alessio e Marco Carta e Valerio Scanu reduci da una mini gang bang con Lady Gaga in tutti i modi, in tutti i luoghi e in tutti i laghi.

Ma so che nessuno di voi vuole far torto a Roberto Giacobbo rovinandogli il meraviglioso party in costumi Maya che sta preparando e che quindi ascolterete l'album.

Dice: "Ma esce il 2 agosto! Come hai fatto a sentirlo? Non l'avrai mica scaricato?"
Ehi, ma per chi mi avete scambiato? Certo che no. Mi è bastato leggere questo libro, ricavare un buco nero dal collasso dei peperoni, patate e cipolle di mia madre, indossare l'apposita cronotuta in esclusiva carta da rotolone Regina per assorbire l'olio, tuffarmi dentro e ritrovarmi catapultato in un negozio di dischi due settimane nel futuro; acquistare regolarmente il disco da un rivenditore stupito per il mio bizzarro abbigliamento - per non parlare dell'odore, evitare di un soffio l'arresto da parte delle forze dell'ordine chiamate dal rivenditore stesso, e rituffarmi nella peperonata per essere qui a scrivere.

Scherzi a parte, fatevi un favore e ascoltatelo. Un racconto dell'adolescenza e della voglia di fuggire dalla periferia in cui si è cresciuti (con una profondità che il nostro Ramazzotti nazionale potrebbe trovare solo cadendo in un pozzo che si fermi appena un po' prima del centro della Terra) e della necessità di tornarci. Il tutto narrato con un eclettismo e una padronanza musicale straordinaria, uniti a una poesia lucida, a tratti disperata ma con un bagliore di fiducia nel futuro che esplode nel synth-pop radiosamente anni '80 della penultima traccia e in questi versi meravigliosi che chiudono l'album:
If I could have it back, all the time that we wasted, I'd only waste it again


E un assaggio no? Ma certo, golosoni; ecco a voi "We used to wait":



Ora andate e ascoltatelo tutto, figlioli.

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