2 novembre 2009

la freccia del tempo


Ruota attorno ad elementi domestici, la storia degli ultimi sette giorni di vita di Stefano Cucchi. Piccole rassicuranti molecole che, usualmente, la forza di coesione dell'esistenza combina a formare quella che chiamiamo quotidianità. Un lenzuolo, delle scale, la propria camera, un parco: oggetti e luoghi familiari rappresentano gli snodi di una vicenda la cui cronaca trovate nel post precedente.

Torno a scrivere di Stefano Cucchi per ripercorrere le tappe che lo hanno portato, in una settimana trascorsa tra una caserma dei Carabinieri, l'aula di un tribunale, la cella di un carcere e la stanza di un ospedale, alla morte. Lo farò partendo dalla fine, ribaltando l'ordinario fluire degli eventi; mostrando dapprima gli effetti e lasciando che siano gli effetti a far germinare i semi di cause a essi adeguate; sperando di rendere ancora più stridente,se possibile, l'incommensurabile distanza tra queste cause potenziali e la lacunosa cronaca ufficiale.

E' il primo pomeriggio del 22 Ottobre. I genitori di Stefano Cucchi sono all'obitorio e guardano il cadavere di loro figlio: ecchimosi evidenti sull'intero volto, l'arcata sopraccigliare sinistra spaventosamente rigonfia, l'occhio destro innaturalmente rientrato nell'orbita, la mandibola spezzata (ci sono anche una frattura del corpo vertebrale L3 e un'altra della vertebra coccigea).

Vi state chiedendo come ha fatto il trentunenne a ridursi così?

E' sempre il 22 Ottobre, poco dopo le 12. Un carabiniere si presenta a casa Cucchi per la notifica della richiesta di autopsia. Loro figlio è morto, circa sei ore prima. I genitori si precipitano al reparto detentivo dell'ospedale Sandro Pertini per chiedere spiegazioni sulla causa del decesso. Tutto quello che il medico di turno e il sovrintendente rispondono è che non sanno nulla perché il figlio ha "costantemente tenuto il lenzuolo sulla faccia". A questo punto i Cucchi si recano all'obitorio.

Vi state chiedendo com'è possibile che basti un lenzuolo per impedire il controllo di un detenuto? Vi state chiedendo perché un detenuto è finito all'ospedale in quelle condizioni?

Sono circa le due del 16 Ottobre. Stefano Cucchi è in Tribunale. Il giudice rinvia il suo giudizio al 13 Novembre e conferma la custodia cautelare in carcere; Stefano si arrabbia, tirando calci a una sedia (in modo apparentemente incompatibile con la presenza di vertebre fratturate). I genitori sono presenti; lo vedono in buona salute ma col volto tumefatto. Anche il giudice si è accorto delle tumefazioni e ha quindi disposto una visita all'interno del Tribunale durante la quale il giovane dichiara di avere "lesioni alla regione sacrale e agli arti inferiori". Dopo un rifiuto di ricovero all'ospedale Fatebenefratelli - "Ieri sono scivolato e sono caduto dalle scale" dirà al dottore che riscontrerà tre vertebre rotte in una radiografia al torace - e una notte al carcere Regina Coeli, Stefano Cucchi verrà infine ricoverato nel reparto detentivo dell'ospedale Sandro Pertini nella mattinata di Sabato 17 Ottobre senza che ai suoi genitori venga più permesso di vederlo ma rassicurandoli sul suo stato di salute, e lì rimarrà fino alle sei e venti minuti del 22 Ottobre, data del suo decesso.

Vi state chiedendo quale reato avesse commesso Stefano per non essere assegnato agli arresti domiciliari? E perché avesse il volto tumefatto?

Sono le 23.30 del 15 Ottobre. I carabinieri fermano Stefano nel parco degli Acquedotti a Roma. In compagnia di un cliente, sostengono (lui dirà che si trattava di un amico). Gli trovano addosso circa 20 grammi di sostanze stupefacenti (principalmente marijuana e poca cocaina). Dopo un primo interrogatorio, vanno a perquisire la sua camera nella casa in cui vive con i genitori. Rassicura la madre dicendole che non troveranno nulla ed in effetti è quello che accade. Anche i carabinieri tendono a minimizzare visto che si tratta di poca roba. Probabilmente si danno appuntamento per l'indomani, al Tribunale dove si celebrerà il processo per direttissima in cui si dichiarerà colpevole di possesso di stupefacenti ma per uso personale. Poi si avvia verso la caserma: su un paio di gambe salde, guardando la strada con occhi sani in un volto magro (pesa 43 chili) ma non segnato da colpi di nessun tipo.

E così siamo arrivati all'inizio. E alla fine di ogni domanda.

Fonte foto: photographale.

Apparso su BlogSicilia: Caltanissetta.

1 commento:

  1. Avevo già letto il tuo post e mi ha colpito molto.

    Per gli interrogativi, mi sa che ce ne sono fin troppi per esaurirsi così facilmente...

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